Com’è noto, l’annullamento e la risoluzione di un contratto, sono due strumenti previsti dal codice civile per far fronte a differenti patologie del rapporto contrattuale: uno relativo ai vizi del consenso, l’altro (almeno nell’ipotesi più ricorrente) all’inadempimento di uno dei contraenti. Ciò che si vuole esaminare in questo scritto, é se sia o meno possibile applicare congiuntamente entrambi i rimedi, ovvero più precisamente procedere all’annullamento di un contratto già risolto. L’origine del problema sta nell’ esistenza di una norma (l’art. 1458, I co., c.c.) secondo la quale: “La risoluzione del contratto ha effetto retroattivo tra le parti”. In base a tale disposizione, quindi, un contratto risolto è già di per sé improduttivo di effetti, per cui ci si deve domandare se si possa o meno procedere anche ad suo successivo annullamento. Per dare risposta al quesito, è necessario preliminarmente vedere se vi è, o può esservi, un interesse ‘concreto’ ad una operazione di questo tipo, in quanto, in caso contrario, l’impossibilità di annullare un contratto già risolto, discenderebbe dai principi di carattere generale sulla ‘utilità’ ed ‘economicità’ degli strumenti giuridici, che in termini processuali, si concretizza nella carenza dell’interesse ad agire.
A ben vedere, l’interesse ad ottenere l’annullamento di un contratto già risolto, deriva dal fatto che possono esservi collegate ulteriori conseguenze previste nell’interesse del contraente, per il quale, quindi, è necessario ottenere suddetta pronuncia. Si pensi , ad esempio, all’ipotesi di risarcimento ex art. 2043 c.c. in caso di dolo contrattuale, che potrebbe risultare più vantaggioso da un punto di vista economico rispetto al risarcimento da inadempienza, a causa della maggiore gravità del dolus malus rispetto al semplice inadempimento. Chiarito ciò, la risposta al nostro interrogativo centrale va ricercata nella differenza strutturale tra la risoluzione e l’annullamento: infatti mentre la risoluzione riguarda il momento esecutivo di un contratto correttamente sorto, l’annullamento è relativo al momento genetico del rapporto contrattuale che, a causa della presenza di un vizio del consenso, nasce, appunto, viziato. Appare evidente pertanto la maggiore radicalità dell’effetto dell’annullamento rispetto a quello della risoluzione che sembrerebbe far propendere per l’ammissibilità dell’annullamento di un contratto già risolto. Tale conclusione può essere anche supportata dalla differenza di effetti che producono i due rimedi, in quanto se nel caso di risoluzione l’effetto retroattivo è dovuto solo ad una specifica disposizione di legge (art. 1458 c.c.), l’inesistenza degli effetti del contratto annullato è in re ipsa, in quanto viene colpita direttamente la fonte del rapporto obbligatorio.
Se quanto fin qui osservato vale in termini generali, appare ancora più evidente quando si tratta di “contratti ad esecuzione continuativa o periodica”, per i quali, in base al secondo periodo dello stesso art. 1458, I co., c.c. “l’effetto della risoluzione non si estende alle prestazioni già eseguite”. Pertanto, in questo caso, appare evidente che sia possibile ottenere l’annullamento nonostante la intervenuta risoluzione, in quanto con esso verrebbe travolto un rapporto ancora in vita.